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Raffaella Ferloni: fermi d’immagine

Viviamo in una società delle immagini e della comunicazione in cui il confronto con la realtà avviene sempre più attraverso immagini mediate dalla fotografia e dal video.All’unicità, all’individualità dell’esperienza si sono sovrapposti e si vanno sovrapponendo flussi uniformi di messaggi e contenuti filtrati, visioni preconfezionate proposte in carte patinate e schermi sempre accesi e sempre più presenti.

L’immagine diventa il simulacro dell’accadimento e questo, a sua volta, avventura, parvenza di vissuto.

Raffaella Ferloni da tempo ha colto il problema. Focalizzata la sua attenzione sulla figura umana e dopo un inizio in cui con segno post-espressionista già traeva le immagini da dipingere – o svolgere – da riviste, ben presto è arrivata a trarre i suoi soggetti internet. In esso un flusso ininterrotto di immagini, innumerevoli presunte icone della modernità, si offrivano all’artista come modelli nelle pose codificate, negli atteggiamenti prefigurati dai fotografi e pubblicitari. È un linguaggio di massa, ma proprio per questo è universale anche se ben poco è come appare. Visioni di apparente quotidianità sono il risultato di una sapiente costruzione, l’immediatezza, la naturalezza sono posa, pura finzione, ogni dettaglio, l’ambiente, anche il più banale, è artificio costruito. Per formazione Raffella Ferloni ben conosce questi meccanismi e li accetta: raccoglie immagini che talora traspone pittoricamente. L’alchimia pittorica si conclude in questa trasposizione in cui il disegno da atto creativo diventa elemento di ridefinizione. L’atto creativo, concettualmente, sta nell’individuazione dell’immagine; in questa scelta risiede la demarcazione di un territorio interiore.Guardando alle sue opere più recenti, ancora una volta scopriremo quel gusto personale di penetrare nella sfera intima dei suoi soggetti, di svolgere racconti di banale quotidianità. Nell’uso di immagini mediate, nel proporre simulacri, recite di spontaneità, s’insinua tuttavia un gusto d’amara ironia, un senso di disincanto e, nonostante tutto, d’impotenza di fronte alla realtà.Se a questo dato di fatto aggiungiamo che la vocazione ultima dell’artista sta non tanto nella celebrazione espositiva, ma nella ri-immissione dell’opera dipinta nella rete del Web da cui era stata tratta, il cerchio si chiude. L’opera dipinta diventa la personalizzazione, il contributo individuale su un flusso ormai infinito e senza storia di scatti fotografici e fermi d’immagine; la pittura, da atto eroico assurge a ultimo dissacrante e disperato grido di un’individualità sempre più chiusa in spazi ridotti.

Mai la vetta ci è sembrata così vicina e mai in realtà è stata così distante.

 

 

 

 

Paolo Blendinger

Torricella 17 novembre 2004